Reperimento dei dati

Ricerca storica e iconografica

La storia del cromatismo urbano dell’isola di Ponza, come quella di un qualsiasi centro storico, ha le sue radici in quella degli edifici che la connotano, addensati nei centri antichi di Ponza Porto, S. Maria e le Forna e dipende quindi, dalla presenza di cave locali, dal sistema costrutivo adottato, dalla tipologia dei materiali impiegati nella costruzione, dal sistema di rivestimento antico a protezione della superficie muraria, dalle caratteristiche climatiche e morfologiche della zona. Per i tre centri dell’isola, inoltre, la presenza del mare e di alcuni venti dominanti e il particolare orientamento, giocano un ruolo determinante sulla manutenzione degli intonaci e sul loro “colore”.

L’operazione d’indagine, finalizzata alla raccolta di dati, documenti ed informazioni relativi al colore strorico del costruito ed estesa anche agli elementi del pubblico ornato, si è svolta tramite una ricerca generale d’archivio a livello storico, iconografico, socio economico, urbanistico-ambientale.

Dal raffronto parallelo, tra la storia del costruito e quella del suo relativo aspetto cromatico, è stato possibile stabilire il periodo storico originario del colore di Ponza, fissandolo ai primi decenni del 900. L’antico nome dell’isola è citato già da Omero, quale regno della maga Circe, nel decimo capitolo dell’Odissea: “Ed arrivammo all’isola di Enea…che dall’alto ho visto, dall’ardua punta dove sono asceso, che questa è un’isoletta: umile giace e immenso attorno la corona del mare…” (Omero, Odissea, X, 135), ma le origini delle sue costruzioni sono relativamente recenti.

Ridotte a ruderi, le grandiose opere architettoniche e di alta ingegneria realizzate sull’isola durante l’impero romano e le successive abbazie cistercensi, nel Medio Evo, per le scorrerie dei corsari (che, assalite le fasce costiere del Mediterraneo ne riducono in schiavitù gli abitanti), l’isola è abbandonata dalla già rara popolazione, ed i ruderi e le grotte diventano il rifugio di diseredati e di monaci. Per ripopolarla, il Papa Sisto IV nel 1477 e poi i Farnese concedono i proprio terreni in enfiteusi a famiglie di coloni, che vivono per lo più della pesca del corallo e delle aragoste, i quali, per proteggersi dai pirati, realizzano opere di fortificazioni e case-grotta per le abitazioni sfruttando la pendenza naturale del terreno e scavando il banco roccioso.

Nel ‘600, per le continue incursioni corsare, l’isola ritorna deserta e nel 1685, l’abate Pacichelli scrive che “i suoi rarissimi abitanti, vivono in grotte nei pressi della torre quadrata, dove il castellano coltiva due campicelli a viti e fave”.

La vita isolana riprende nel 1731, quando Carlo III, ricevendo in dono dalla madre Elisabetta Farnese le Isole Pontine, affida le parti del loro territorio, in enfiteusi perpetua a famiglie ischitane.
La “casa-grotta”, tipologia caratteristica dell’edificio abitativo ponzese, permane nell’isola fino a quando Ferdinando IV, (succeduto a Carlo III) insieme al Ministro Tanucci, avvia un’opera generale di rinnovamento urbanistico, affidandone l’incarico (a spese della Cassa dei Reali Allodiali di Napoli) nel 1768 al Maggiore del Genio Militare, barone ed ingegnere Antonio Winspeare, cosdiuvato dall’architetto Francesco Carpi.

La costruzione del Porto e del Foro Borbonico, iniziata nel 1771, realizza un’unitaria sistemazione urbanistica, con la creazione del Molo e della Lanterna, della Chiesa neo classica a pianta centrale e del nuovo Casamento, odierna sede del Comune. Nel 1772, sotto la direzione del Carpi, viene costruito il Cimitero di Punta della Madonna ed il “quartiere dei rilegati”, nel luogo dell’attuale Scula e Museo Comunale e viene sistemato il nucleo rurale di Le Forna, tracciando nello stesso anno la strada di collegamento tra le Forna ed il Porto, la Scalinata di Cala Inferno e costruendo nel piccolo centro, tra qusta data e il 1780, la Chiesa Dell’Assunta. Inoltre a difesa delle scorrerie saracene vengono fortificate le torrete cinquecentesche a Le Forna, a Punta Papa e al Frontone.

Quando la rivoluzione francese pone un’interruzione alle grandi opere urbane, il Centro Storico di Ponza Porto è già realizzato secondo il progetto unitario dello Winspeare, nel quale la pietra naturale della roccia si compone con la massa compatta del del costriuto e l’abitato è tramite tra la montagna ed il mare. In questo progetto (imposto secondo un semplice e geniale sistema costruttivo) il lungo basamento della Banchina è suddiviso serialmente negli ambienti dei magazzini a servizio della pesca (successivamente a servizio del turismo da diporto) mediante setti murari scanditi dalla dimensione modulare del vano voltato, (circa di 4,80 x 4,80 mt.).

Ad esso è strutturalmente connesso il sovrastante complesso edilizio lineare (retrocesso rispetto al fronte della banchina) per ottenere una “promenade” cittadina, l’odierno Corso Carlo Pisacane.
L’organismo edilizio, su due piani, è costituito al piano superiore da cellule abitative che hanno la tipica copertura a volta, proveniente da Ischia, detta làmia, (realizzata con mattonelle regolari di tufo disposte ad anelli circolari e provvista di canalizzazione perimetrale per la raccolta dell’acqua piovana) e al piano terra, ritmato da arcate, scandite come le cellule abitative, secondo il modulo strutturale del sottostante basamento e da ambienti di carattere commerciale.

Dopo la Restaurazione, l’Ente Pubblico “Orfanotrofio Militare di Napoli” (che sin dal 1716 gestisce i Beni della Casa Reale di Napoli), prende in affidamento anche le cade del complesso edilizio lineare borbonico realizzato dal Carpi (in quanto Patrimonio diretto del re), e pertanto ne gestisce l’affitto e quindi anche la manutenzione, curando quelle dei muri esterni con il sistema più semplice, economico e igienico dell’imbiancatura a calce, utilizzando allo scopo la pietra calcarea proveniente dalle cave della vicina isola di Zannone.

Una bellissima e rara gouache (42 x 29,7) di Alessandro d’Anna, noto pittore operante per la corte di Napoli, documenta la presenza del colore bianco calce, non solo su tutto il costruito borbonico, ma anche su tutti i muri delle case retrostanti, (in salita sulla zona montuosa dell’isola), rappresentate con meticolosa e attenta precisione.

Nel 1806, durante l’assedio di Gaeta da parte dei francesi di Massena, Ponza si trasforma in una specie di ospedale borbonico. Da Gaeta vengono inviati nell’Isola feriti e malati ed i muri del costruito sono ancora imbiancati a calce, per evitare pericoli di epidemie tra malati, galeotti e isolani.

Nel 1810 Gioacchino Murat sottrae Murat Ponza e le altre isole Pontine al Patrimonio privato dei Borboni e la assegna, come ogni altra terra del Regno, all’Amministrazione del Pubblico Demanio. Lamenta il Tricoli che sotto i francesi “qualsiasi articolo necessario deve procurarsi altrove: la stessa calce così necessaria per accrescere comodi al paese, con gli usi necessari, la cui cottura formava industria per una classe, oggi per strano rito deve venire anche dal continente a caro prezzo, mentre in Zannone vi è l’ottima pietra e vi si perde il frascame“.

Con il Trattato di Vienna, il 2.7.1815 gli inglesi restituiscono Ponza ai Borboni, e la gestione degli edifici realizzata dal Carpi rimane prerogativa dell’Orfanotrofio Militare. Nel 1820 un decreto elegge Ponza luogo di detenzione di condannati politici. Il 5.7.1830 la firma di resa di Hossein, ultimo Dey di Algeri, e l’ingresso in questa città del Conte di Bourmont, pone fine a secolari piraterie turco – barbaresche e inizio alla pace per le popolazioni costiere del Mediterraneo.

Nell’anno 1839 il Reale Officio topografico di Napoli realizza una “Pianta del Porto di Ponza, ricavata dall’originale avuto dalla Direzione Generale di Ponti e Strade” dalla quale emergono elemento molto interessanti sulla destinazione, indicata in legenda, di tutti gli edifici presenti nella zona del Porto, (che risultano ospitare esclusivamente i rilegati, i militari militari, l’ospedale militare, la scuola pubblica, l’ospedale per i rilegati, le vedove militari, un corpo di guardia, una caserma militare) e sul colore dei loro muri (il bianco calce) fino a questa data, infatti, la voce al punto 5 segnala che, tutto il complesso edilizio lineare a due piani, sull’odierno Corso Carlo Pisacane, è ancora assegnato all’Orafanotrofio Militare e la voce al punto 17 sottolinea la presenza di una unica e sola “Casetta di proprietà privata”. Quindi nel 1839 il costruito di Ponza Porto è solo quello del patrimonio reale borbonico e le abitazioni private oltre all’unica “Casetta” individuata al punto 17, si identificano ancora nelle case grotta o comunque in poveri abituri. Il colore dei muri delle costruzioni borboniche, fino a questa data è quindi ancora quello bianco calce.

Sono di questo periodo le descrizioni e le immagini delle Isole Pontine del manoscritto di Pasquale Mattei, raccolte nel 1847 in un album, conservato ne Fondo Mattei nella biblioteca Vallicelliana di Roma.

Una di queste immagini, datata 19 aprile ’47, rappresenta Ponza vista da Giancos: l’unico edificio nella zona del Porto è ancora il Municipio, la chiesa e il complesso edilizio lineare del Carpi, nel quale l’artista evidenzia le arcate con una forte ombra, come quella delle arcate che caratterizzano l’attuale Municipio. Nell’immagine, le case non compaiono nella zona montuosa retrostante, ma nella fascia collinosa dietro l’attuale Banchina Nuova è a sinistra, sulla attuale Via Roma.

I disegni, tutti in bianco e nero, realizzati a matita, (spesso con un leggero velo monocromo di acquarello e qualche pennellata di biacca, per rendere l’effetto luce), testimoniano la consistenza del costruito ma non possono dare alcuna informazione sul suo aspetto cromatico, che risulta invece evidente nella gouache del d’Anna.
L’uso di imbiancare a calce l’edificato si è poi certamente esteso agli altri due Centri Storici, anche se per S. Maria e per Le Forna non esistono documenti atti a convalidare questa ipotesi.

Nel periodo immediatamente successivo, dal 1845 al 1853, il Centro Storico di Ponza Porto inizia ad assumere la configurazione di un borgo isolano.

I lavori rallentano tra il 1861 e i primi anni del 1900, durante il quale l’isola riprende la sua iniziale caratteristica di terra di confino (fino ad annullarsi quando, nel 1965, viene abolito l’ergastolo di Stato) che si riflette nella tipologia scarna e povera del costruito.

Dopo la guerra del 1910, infatti, le sue prigioni ospitano i capi libici e durante la Prima Guerra Mondiale e le persone sospette di simpatia per l’Austria e la Germania.

Una casa di S. Maria, dopo l’impresa Etiopica ospita il Ras Immirù e nel 1943 Mussolini.

Anche la costruzione della Chiesa di San Giuseppe, nel Centro Storico di Santa Maria, iniziata nel 1828, viene ultimata solamente nel 1895.

Alla fine dell’ottocento, quindi, le abitazioni dell’isola sono classificabili secondo due tipologie: abitazioni sorte in zone di sviluppo rurale, che si identificano, per lo più, in case-grotta per lo più in case-sparse entro i terreni coltivati, mimetizzate con la campagna. Non prive di colore; abitazioni nel complesso edilizio lineare Borbonico, caratterizzate dalla tipica copertura a volta, (detta Lamia), che presentano il colore bianco della calce. Dall’anno 1911, come risulta da indagini eseguiti presso gli Uffici competenti, iniziano le vendite delle abitazioni del complesso edilizio lineare di Via Carlo Pisacane per le quali, con un riscatto che permette agli inquilini di diventare proprietari, all’affitto subentra la proprietà. Probabilmente è da questa data che i nuovi proprietari iniziano ad attuare le prime rifusioni e sopraelevazioni sulle cellule abitative del complesso edilizio lineare e nello stesso tempo, forse per distinguere la loro proprietà a porre un colore (rosa, giallo, o celeste) sui muri bianco-calce di quella architettura minore costruita sulla struttura settecentesca.

Tra il 1920 ed il 1940 l’isola si arricchisce di villini liberty, o con richiami neoclassici, alcuni dei quali decorati con stucchi e graffiti di buon livello artistico, a Ponza Porto e a S. Maria. Sul Corso Carlo Pisacane le compatte pareti murarie dei prospetti vengono scandite da paraste e lesene con capitelli e basi, secondo la tipologia dell’epoca dell’eclettismo e del liberty.

Decorazioni a motivi classici, allegorici o floreali ornano, con modanature in stucco, le unitarie pareti edilizie, tinteggiate secondo il sistema tradizionale, a calce e terre naturali.

Il colore bianco, presente dall’origine sino ad oggi nella fascia del piano terra di via Carlo Pisacane, modulate dalle arcate, è risultato essere da tempo il colore dei muri del Molo Musco e del Mamozio, forse per marcare meglio e rendere più visibile dal mare la presenza del Porto. Secondo l’ipotesi di anziani isolani, l’adozione del colore rosa e di quello celeste può essere attribuito all’uso antico, dei contadini e dei pescatori immigrati, di unire alla calce, usata per la tinteggiatura dei muri e delle case, rispettivamente, il solfato di rame usato per le coltivazioni e per il minio, usato per le barche. Altri sostengono che il colore dei muri veniva realizzato miscelando nella calce la vernice usata dai pescatori per le proprie barche:la casa rosa individua il proprietario della barca rosa; veniva a costituirsi in questo modo un interessante catasto cromatico. I quattro colori tradizionali, nelle numerosissime tonalità dovute alla diversa saturazione del pigmento, hanno vivacizzato da quella data i tre Centri Storici, con la luminosità trasparenza delle tinte a calce e terre e con quella spontanea e gradevole alternanza che ha caratterizzato l’immagine dell’Isola stessa.

Come a Capri si associa oggi la monocromia del bianco, così a Ponza si associa, nelle varie tonalità, la quadricromia del “giallo-bianco-rosa”, unita ad un tono di acro rossa, concentrato per la massima parte a Ponza Porto. Dalla fine degli anni’60, nei tre Centri storici quasi tutti gli edifici subiscono una gravissima menomazione, sia a livello decorativo che cromatico. Infatti vengono eliminati quasi ovunque, con un notevole impoverimento generale il bugnato dei basamenti e dei cantonali, gli elementi verticali e orizzontali, in stucco, tipici del Periodo eclettico, riproposti solo come differenza di colore, e le modanature degli elementi decorativi ed architettonici, che, con la loro presenza lievemente emergente dal fondo, conferivano alla superficie muraria una caratteristica vibrazione chiaroscurale.

L’architettura viene significata solo dalla bicromia piana a fondo e fasce, legata alla sensibilità cromatica del singolo committente.
Inoltre la tradizionale tinteggiatura artigianale a calce e terre naturali viene sostituita con quella a base di leganti e colori sintetici, con o senza inerti di quarzo di varia granulometria.

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